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144 la marfisa bizzarra

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     Bradamante, Rugger, don Guottibuossi
non è da dir se del caso hanno tedio;
ma stanno cheti, trasognati e goffi,
perocch’era impossibil il rimedio.
E molto amari ed aspri son gl’ingoffi
di quegli uffizi nuovi e dell’assedio
ad Angelino di Bellanda, solo
concorrente al sigillo e buon figliuolo.
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     Angelin di Bellanda è un cavaliere
privo d’un occhio in battaglia perduto;
monco ha il sinistro braccio, ed il brachiere
porta, delle fatiche per tributo.
Di Carlo avea servito alle bandiere
ne’ tempi andati, e gran sangue ha perduto.
Avea moglie e famiglia tanto grande,
che Turpin scrive: «E’ si vivea di ghiande».
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     Perocch’era Angelin povero in canna
e di poder n’aveva pochi al sole;
oltre di che, sopra quelli una manna
cadeva ogni anno di secche e gragnuole.
Angelin sofferente non s’affanna,
e dicea: — Dio può tutto e cosí vuole.
Dominus dedit, date ha le ricolte:
Dominus abstulit, Dio ce l’ha tolte. —
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     Aveva cinquant’anni di penuria
provata in guerra; e venuta la pace,
monco, rotto e monocol, nella curia
l’avea partita a un piato pertinace.
Pel cangiar de’ costumi la sua furia
Fortuna contro a quel, come a Dio piace,
cambia modo d’offesa ed arte e ingegno,
ma giammai d’un riposo egli fu degno.