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canto quinto 141

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     Terigi è quasi fuor de’ sentimenti:
giú delle scale va precipitando.
Don Gualtieri comanda agli strumenti
che accettino Mar fisa alto suonando;
ed un rumor, che fé’tremare i venti,
fedono i suonatori a quel comando,
con una marcia di timpani e corni
ed obuè piú dotti de’ contorni.
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     I musici castrati e que’ da razza
incominciaron poi la serenata.
Turba non s’udi mai cotanto pazza,
di voce fastidiosa e sgangherata.
Matteo poeta è per tutto, e schiamazza
perché la poesia fosse lodata.
Pareva scritta dal fine al principio,
siccome l’orazion di sant’Alipio.
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     E cominciava: «O vergin, verg^n bella,
estro e natura canora e sonora».
Marco poeta a rider si smascella,
e critica ogni detto che vien fuora.
I paladini eran divisi a quella:
chi dice bene e chi la disonora.
Dodone ne traeva un suo piacere,
e va chiedendo a tutti il lor parere.
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     Ed a chi dicea bene, ei dicea male;
ed a chi dicea male, ei dicea bene.
Qualche argomento va facendo tale,
che i paladin gli voltavan le rene;
né del ben né del mal Dodon gioviale
potea trovar ragion come conviene,
che i paladin faceano i ciarlatani
solo per parer dotti e partigiani.