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112 la marfisa bizzarra

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     Il marchese Terigi a que’ fa vezzi,
perché l’ignobiltá cerca aderenze;
far gli faceva di rinfreschi mezzi,
per turar ne’ lor sen le maldicenze.
Ma converrá che alfin si scandalezzi,
o ch’egli abbia duemila pazienze;
che tutte le finezze fien mal spese,
e rideranno a lungo del marchese.
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     Ecco una dama con belletto e nei,
di settant’anni. Aveva ancora in bocca
sei denti, e d’uno forse errar potrei:
moglier di Sinibaldo dalla Rocca.
Terigi è pronto, e quattro e cinque e sei
e sette riverenze le raccocca;
la dama gli diceva questo solo:
— Marchese, son qui putti col vaiuolo? —
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     Terigi le rispose: — Non, signora;
ma perché mai mi domandate questo? —
Disse la dama: — Io non l’ho avuto ancora,
ed il pigliarlomi saria molesto,
perocché il meglio alle fattezze isfiora,
oltre che mi potrebbe esser funesto. —
Disse il marchese: — Non, in fede mia. —
La dama co’ serventi passa via.
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     Un gran rumor venia su per la scala,
un ridacchiar femminile e maschile.
Terigi sta come terzuol sull’ala,
e si diguazza a comparir gentile.
Ecco un drappello giunto nella sala,
di dame e cavalieri, signorile.
La prima, che il saluta alla sfranciosa,
era una dama guercia spiritosa.