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110 la marfisa bizzarra

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     Campi delle battaglie eran ridotti
casin, teatri e botteghe e saloni.
Armi da offesa, danar ne’ borsotti,
carte da giuoco e finti paroloni,
teneri bigliettin, sospir dirotti;
e le cittá da far l’espugnazioni,
i ben de’ troppo schiocchi o troppo arditi,
e le moglier de* poveri mariti.
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     Erano le rassegne come questa
ch’or dirò, dalle antiche differente.
Giá la ricreazione aveva presta
don Gualtier, mansionario diligente;
posta in ordin di torcie una tempesta,
e ciocche di cristallo risplendente,
non dico del Briati, che non c’era,
ma di Buemmia, cariche di cera.
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     Tavolin, ghiridoni, tavolieri
e carte e sbaraglin per tutto sono,
sedie co’ lor piumacci ed origlieri
d’oro, ch’ognuna valea quanto un trono.
Piú candelotti con piú candelieri
v’erano che in Assisi pel perdono;
staffieri e cappenere una gran banda:
don Gualtieri è per tutto che comanda.
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     Terigi era cambiato di vestito,
se il primo fu d’argento, questo è d’oro;
tanta ricchezza ha intorno, è si pulito,
che pareva quel giorno il bucentoro;
e sta sull’ale mezzo sbalordito
cosi grassotto e rosso, e di pel foro,
per ire ad accettare e a far gli onori
sino alla scala a’ suoi visitatori