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canto quinto 109

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     Tenterem, vederemo; a Carlo Mano
vo* ragionare; ho degli amici anch’io.
Possibil che disutile sia Gano!
Voi, Filinor, pregate intanto Iddio. —
Qui Filinor gli baciava la mano.
S’offerser tutti a questo lavorio.
Il pranzo era finito e, detto pria
VAgimtis libi grafia, ognun partia.
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     Correan ventitré ore o poco meno.
Particolar invito era a Parigi
d’una conversazion famosa appieno,
che dava in casa il marchese Terigi
alla sua sposa dal viso sereno;
e aveva detto a don Gualtier: — Dirigi
tu la faccenda, e fa’ che nulla manchi
perché non mi dileggin questi franchi. —
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     Io so, lettor, negli antichi poemi
talor goduto avrai qualche rassegna,
e letto: «Il tal passava, e par che tremi
il terren sotto alla schiera, all’insegna;
e il tal monarca da’ paesi estremi
veniva dopo con sua gente degna,
armata di panziere o cuoio cotto
e con mazze ferrate e il g^aco sotto».
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     Ma s’erano cambiati i paladini,
eran le lor rassegne anche mutate,
se i novelli costumi e i líbriccini
d’altra sorta battaglie avean formate.
L’armature eran vaghi manichini,
brache alle cosce, tirate, attillate,
e d’un taglio mirabil vestimenti,
di velluto a giardino o g^uarnimenti.