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Marfisa altro non volle ad esser vinta
che bellezza nel putto e le avventure.
Veder gli parve una storia dipinta
di Marco romanzier nelle scritture.
Compianse i casi e die’ piú d’una spinta,
perch’ospite suo fosse, e isforza pure;
ma Filinor, baciandole la mano,
disse ch’ospite andava al conte Gano. 20
— Invidio a Gano un commensal gentile
— disse Marfisa — come siete voi. —
Rispose l’altro con atto civile:
— Questa invidia è invidiabile fra noi. —
Soggiunse l’altra: — A Parigi c’è stile
delle conversazion: vedremci poi. —
— S’ubbidiscon — dicea l’altro — le dame. —
Terigi udiva e sol diceva: — Ho fame. 21
Mezzogiorno è suonato di due ore,
la maschera m’affanna e infastidisce. —
E poscia l’orivol metteva fuore,
dicendo: — Questa vita non gradisce. —
Marfisa rispondeva: — Mio signore,
dove tengono il tosco, io so, le bisce;
però non cominciate a fare il matto,
ch’io so come si lacera un contratto. 22
Non mi diceste un giorno: — A me fia grato
tutto quel ch’è piacer vostro, illustrissima? —
Terigi, tra balordo e disperato,
fece una riverenza profondissima.
Rise Marfisa e sul viso gli ha dato
con il ventaglio, ch’era leggiadrissima;
e finalmente ognuno a pranzo andava.
In casa a Gano Filinoro entrava.