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canto quinto 101

7
     Le sventure, signor, sempre son pronte.
Che maraviglie! Ringraziate Dio
ch’elle non vi son tocche. In piano e in monte
e in mar siam mal sicuri, al parer mio. —
S’innalzava Marfisa con la fronte
per veder la cagion del mormorio,
e sulle punte dei piedi si rizza,
ma invan s’affanna e alfin le venne stizza.
8
     E vòlta a’ cavalier che la servieno,
ed a Terigi che sembra un barlotto,
comincia a dir che tutti le parieno
cavalier da bagasce e da biscotto.
— Vedete — ella dicea — che m’avveleno
per star di sopra, e mi lasciate sotto,
né veder posso. Ogni pitocco e tristo
avrá veduto, ed io non avrò visto.
9
     Fatevi innanzi, allargate la strada!
S’apra la folla, cavalier poltroni!
Chi non sa servir dama se ne vada:
io vi smaschererei co’ mostaccioni, —
Disse Terigi: — Io non ho qui la spada; —
ma gli altri cavalier, come leoni,
cominciano co’ gombiti e co’ fianchi
a sospinger la folla arditi e franchi.
10
     Piú di tutti alle spinte acquista fama
don Guottibuossi, che è qui mascherato,
e grida: — Largo, amici, a questa dama! —
e apre l’onda e gran fesso ha formato.
Marfisa aiuta anch’essa quella trama,
e spinge quanto un uomo disperato,
tanto che giunse in mezzo al cerchio stretto,
e rassettossi poi qualche merletto.