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goa: “la dourada„ 61

rini di dieci anni or sono, il ritagliume che loro invia qualche fondo di magazzino europeo.

Sorseggio un bicchierino d’arach, il liquore nazionale, il massimo commercio della colonia. Tra il vociare aspro e sconosciuto che m’assorda e il fumo che m’accieca e mi soffoca, ricordo con qualche cartolina illustrata qualche amico d’Europa. E osservo che i francobolli recano ancora l’effige di Don Carlos; la florida ciera del monarca trucidato mi sorride sotto la correzione violenta a grossi caratteri neri: Republica. Sic transit. Non so perchè questo particolare chiude con un’ultima tristezza questa sosta portoghese, giornata malinconica tra le più malinconiche del mio pellegrinaggio.

Esco dal caffè, passeggio pei giardini, m’allontano lungo il mare fin dove cessano i fanali a gas ed appaiono tutte le stelle del cielo tropicale, dominate dalla Croce del Sud; s’ode nel buio il crepitìo caratteristico che fanno le foglie dei palmizi fruscanti tra loro, alla brezza marina. E tento di ricordare e di ripetere come una preghiera sulla tomba della città defunta