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60 goa: “la dourada„

adagia quasi supino, sollevando e abbassando sul volto una specie di paracuna. E si parte di gran corsa verso la Goa moderna.

Goa moderna: ma sembra una città di provincia dei tempi andati, una capitale di qualche Republica dell’America Centrale, sul finire del secolo XVIII. Passo la mia sera nel modo più banale, pur di convincermi di vivere ancora, di essere sempre ai giorni nostri. Entro in un cinematografo. Passo in un caffè, tra questa folla numerosa, così diversa dalla corretta eleganza degli Inglesi e dalla grazia dignitosa degli Indu, folla di meticci portoghesi che si riprodussero come la gramigna sotto questo cielo, sopravvissero alle ruine, più tenaci della pietra, e che si chiamano pomposamente Toupas, cioè europei «che portano il cappello», ma che d’europeo non hanno più nulla, con quelle spalle gracili, le gambe smilze, il volto olivigno, angoloso, dagli occhi vivi, ma scimmieschi sotto la fronte depressa; e hanno atteggiamenti grotteschi di cavalleria, sono lisciati, impomatati, portano in giro sigari enormi e compagne languide, che sfoggiano i figu-