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goa: “la dourada„ 53

larghe chiazze azzurre: il cielo del tropico. Dei tre ripiani, delle fughe interminabili di sale e di corridoi, non resta più traccia, tutto è crollato, e il palazzo non è che una scatola, una topaja deserta, che serve di magazzino per le noci di cocco. In terra, fino a vari metri d’altezza, sono accumulati i grossi frutti chiomati che fanno pensare a piramidi di teste tronche. Esco all’aperto, mi siedo sotto il portico sopra un capitello infranto, mi disseto ad un cocco che il guardiano rompe e mi porge.

— Di chi è il palazzo?

— Dell’Abbazia.

— Ma chi l’abitava, chi l’ha fatto costrurre?

Il guardiano non comprende, mi guarda perplesso. Accenno allo stemma che traspare anche qui, sul selciato consunto.

L’uomo non sa, fa un gesto d’indifferenza.

— Chi può sapere? Un conquistador, nei tempi dei tempi....

Ma quale conquistador? È mai possibile che tre secoli possano annientare a tal segno ogni memoria del nostro passaggio sulla terra? E la memoria di uomini