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goa: “la dourada„ 51


17 dicembre, pomeriggio.

E non immaginavo una città cristianissima sepolta sotto l’ombra selvaggia.

Il Pedrillo ha risalito l’estuario della Mandavj, ci ha deposti sull’imbarcadero malfermo della Vielha Citade, ed è ripartito in tutta fretta verso la Nova Citade, prima che la bassa marea lo paralizzi su queste rive.

Da due ore m’aggiro per la più strana, la più triste delle città morte. L’Oriente è pieno di città che furono. Ma risalgono a millenni, nella notte delle origini buddiche e bramine, ce le fa indifferenti l’abisso del tempo, della razza, della fede. La nostra malinconia ritrova invece a Goa lo spettro di cose nostre: conventi, palazzi, chiese del Cinquecento e del Seicento: una vasta città che ricorda a volte una via di Roma barocca o una piazza dell’Umbria: una città che fu suntuosa e ricca, sorta per imposizione della croce e della spada, città che conteneva trecentomila abitanti ed ora ne conta trecento: tutti monaci o guardiani dei palazzi e delle