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il vivajo del buon dio | 263 |
mie, cani, gatti ciechi, monchi, senza pelo: una parodia lacrimevole dell’Arca salvatrice. La nostra pietà occidentale insorge, domanda sdegnata perchè non si dà a quelle povere bestie il colpo di grazia, addormentandole con una doppia dose di cloroformio.
— Perchè non si ha il diritto di spezzare una vita, qualunque essa sia.
— Ma vivere a che?
— Per soffrire.
— E soffrire a che?
— Per divenire, per accrescersi, per allontanarsi sempre più dalla materia attraverso il peso della materia, per spegnere, nella ruota d’infinite incarnazioni, il desiderio di esistere: questo peccato che ci condanna a ritornare in vita.
E se fosse vero? Se veramente noi non fossimo il Re dell’Universo come la nostra religione ci promette? Se veramente il verme, il cane, l’uomo non fossero che graduazioni varie dello spirito, della stessa forza immanente che palpita ovunque, esitando incerta verso una mèta che ignoriamo e che non è forse se non la pace dell’Increato?