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244 il fiume dei roghi

mento tra due strati di legno sottile: un indù versa una piccola latta d’olio resinoso, un altro accende. Il rogo avvampa, e ai quattro lati i quattro necrofori in giubba e turbante candido vigilano la cremazione, armati ognuno di una lunga spatola ricurva con la quale respingono i tizzi crepitanti: lo spettacolo è misero, profanatore; i quattro messeri in bianco, chini sul braciere modesto, con quei cucchiai singolari, mi fanno pensare a quattro cuochi affaccendati, e non hanno nulla di tragico. Ma è qui, come altrove, la completa indifferenza degli indiani per la salma, la nessuna venerazione pel corpo quando l’anima s’è involata per sempre. Una sola cura frettolosa, darlo alle fiamme, ritornarlo al nulla al più presto. Intorno ad ogni rogo, poco distante, ricorre un sedile di granito ricurvo dove siede la famiglia del defunto. Ma nessuna lacrima, nessun commiato straziante; i congiunti assistono all’incenerimento per vigilare che il rito sia compiuto esattamente, che il legno sia sufficiente, che tutta la cenere sia data al fiume.

Un terzo cadavere è giunto. Un fanciul-