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il fiume dei roghi 241

dipartono a quando a quando, nei secoli, il colera, la peste, i peggiori flagelli del mondo.... E non meraviglia. Ecco un tronco di palma morta che ha fatto diga nel pattume e contro vi s’accumula una putredine varia: ghirlande di queste corolle carnose che l’acqua converte in viscidume fetido, buccie, carta, cenci, tizzi di carbone, rami, un osso candido, una tibia umana che il remo solleva lentamente: un misero avanzo sfuggito ad un rogo troppo povero. E poco oltre la Marayana di Kandaba fa le sue abluzioni sotto un baldacchino sorretto da quattro servi in turbante; intorno le sue donne reggono le vesti, le collane, l’immenso pettorale di gemme, mentre l’augusta sovrana — una pingue signora attempata — immerge nel fiume le carni vizze, fa coppa delle mani, beve l’acqua fetida alternando ogni sorso con un breve gesto d’offerta verso il Cielo.

Più oltre una frotta di bimbi corre ridendo, cerca nel pattume gli avanzi del legno e del carbone; oltre ancora alcune donne immergono le anfore di rame lucente, di classica forma, e equilibrandole sul capo con l’una mano, s’avviano