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236 il fiume dei roghi

le sue ceneri al Gange, foss’anche un infedele, è dispensato dal martirio d’ogni reincarnazione, raggiunge la felicità dell’Increato. Malati, diseredati, vecchi d’ogni genere giungono dalle contrade più remote, dalle foreste equatoriali di Ceylon, dalle vette nevose del Cachemire, per aver pace nel seno di Brama.

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Sono le sette, l’ora della preghiera mattutina. Il sole illumina obliquamente la zona più alta degli edifici; accende l’oro superstite delle cupole e delle guglie attorno alle quali nugoli neri, verdi, rossi di corvi, di tortore, di pappagalli, turbinano salutando la luce con un inno assordante. E tutto ciò che vive scende verso il fiume. Dalle scalette tortuose tra palagio e palagio, dalle immense scalee che dànno alla riva del fiume non so che profilo assiro o babilonese, scende una folla varia, densa, incessante; uomini, donne, fanciulli, vecchi, giovani fachiri, pellegrini. E tutti recano ghirlande di fiori; grosse magnolie, gardenie, corolle sconosciute dal profumo