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202 | giaipur: città della favola |
o compera una pasticca di mastice o un grano d’oppio o un bolo di betel.
Città di sogno e popolo adorabile, che ha la poesia del superfluo e la scienza delle cose inutili. Nessuna cosa più inutile di questa grande città color di rosa. Certo mi ricorderò di Giaipur, se un giorno dovrò scegliere una patria alla mia pigrizia contemplativa. Il dolce far niente italiano è, al confronto, un vortice di attività spaventosa.
Dalla veranda dell’albergo guardo i palazzi che si succedono regolari, all’infinito, fasciati, si direbbe, dello stesso damasco color salmone a fiorami candidi. Non so darmi pace, scendo, attraverso la via, voglio vedere vicino, palpare con la mano le strane pareti. È una specie d’intonaco tre volte secolare, più duro, più liscio dello smalto; le case sono strette, contigue l’una all’altra, come i palazzi classici di Venezia, ma tutte intonacate dello stesso color di rosa sul quale i disegni soltanto variano all’infinito. Oh! I delicati motivi che si possono ottenere con un po’ di bianco sul fondo gridellino! Motivi rievocanti le antiche stoffe dette indiane: lo-