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Anche allora, in India, aveva sperato questa pace. Sapeva delle dottrine orientali, vagamente. Ma era troppo stanco e sfiduciato per un pellegrinaggio ascetico; e, in fondo, soffriva troppo per imporsi penitenze. Nella terra ove fu rinnegata «la ruota delle cose» e fu celebrato il silenzio, udiva invece il frastuono di una barbarica idolatrica polifonìa. E doveva oscuramente riconoscere d’essere troppo artista perché gli riuscisse facile la condanna dei sensi.
Un odore di sensualità esotica circola qua e là per queste pagine. Ma ha qualcosa di chiuso, di stantìo, ed è come punteggiato da acredini di preziosa putrefazione. «Mi sono avvezzo agli strani frutti che si spaccano offrendo una polpa gelida, mantecata come un sorbetto, odorosa di muschio e di creosoto: strani frutti che si direbbero preparati da un confettiere, da un profumiere e da un farmacista. E da un