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Agra, 27 gennaio.

Ad Agra, più ancora che a Delhi, si può rivivere un’ora nel passato favoloso dei Gran Mogol. Se l’ultimo di essi: Sha-Jehan s’alzasse dal suo mausoleo e prendesse per mano la sposa dilettissima: Montaz-i-Mahal, e uscissero entrambi dalla Reggia funeraria: il Tay-Mahal, ritroverebbero riconoscibile ancora la città dei loro splendori, e rispettati dal tempo e dagli uomini i loro palazzi magnifici. Palazzi uniti, sovrapposti, innalzanti a settanta metri il loro vario profilo, simili piuttosto ad un ammasso titanico di castelli feudali che ad una reggia di sogno. Ma la loro grazia leggera fiorisce in alto, dall’altra parte, verso il fiume Giumma, verso la pianura sconfinata. Dalla città vedo soltanto le basi di arenaria sanguigna, le mura ciclopiche, le torri possenti, destinate alla difesa e all’offesa. Questi forti che gli imperatori