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170 l'impero dei gran mogol

fanatrici che dicono e cantano cose enormi tra le pareti sacrosante. Ora di sogno. La realtà scompare. Le cose si alterano, ingigantiscono, diventano favolose e magnifiche, come la noce, il sassolino, lo zoccolo toccati dalla bacchetta magica della leggenda. E dimentico. Vedo con occhi d’allucinazione grandiosa il tempio ruinato, il misero elefante da nolo, i poveri boys a mezza rupia, gli amici e il pasto frugale, e queste due vagabonde delle quali non oserebbe vantarsi uno studente occidentale.

Sono l’imperatore Acbar, il più possente dei Gran Mogol, e questo è il mio palazzo; questo è un banchetto servito da trecento schiavi ad ambasciatori della Serenissima; queste sono due «cristiane» rapite dai corsari sulle coste di Barberia, vendute al Negus d’Etiopia, donate dal Negus allo Scià di Persia e offertemi dallo Scià mio cugino, giunte vergini ed impuberi fino al mio serraglio; due cristiane bionde da aggiungere alle mie settecento concubine di tutti i colori....

Guai se non si completasse col sogno il magro piacere che la realtà ci concede!...