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l'impero dei gran mogol | 165 |
già perduti nell’increato, nella salvezza del non desiderare più, già affrancati dall’eterno ritorno, risanati per sempre nella carne e nell’anima. Sembrano, a noi, i più miserabili avanzi umani, e sono forse i soli uomini invidiabili, le sole creature che non debbano ormai più riconoscere alcuna potenza terrena: «....Che puoi tu fare, o tiranno, che puoi tu fare a me che nei rigori dell’Imalaia o negli ardori del Deccan sono in perfetta letizia? Puoi percuotermi, o tiranno, puoi lacerarmi, ardermi, farmi morire, o tiranno, ma non puoi farmi male....».
Avanziamo nella tebaide.
Ed ecco fra tante cose morte, fra tante ruine senza nome, una cosa ben viva e ben nota, fresca di colore e di linea come se innalzata da ieri. Il minareto di Ktub. Ero preparato da fotografie e da stampe, anche prevenuto con una certa antipatia. È invece la più leggiadra cosa inutile che la noia d’un despota abbia scagliato al cielo. Una torre isolata alta trecento piedi, costrutta da un sultano e offerta alla figlia malata di malinconia, così come s’offre un gioiello. È veramente un gioiello