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160 l'impero dei gran mogol

troppo neri, già troppo grandi, e la consuetudine del bistro, imposta per religione, li fa smisurati, inverosimili, conferisce a questi volti quel loro sguardo d’idoli assenti.

— Vois-tu, ma chère, quelle ruse ontelles à se farder? Elles maquillent seulement la paupière supérieure.

Si fissano alcuni secondi le orientali e le occidentali, poi l’elefante si muove e la scenetta dispare.


Si passa dalla città viva alla città morta quasi senza avvedercene. Finiscono le case abitate dagli uomini, cominciano quelle popolate dalle scimmie. Non più facciate policrome, verande fiorite, ma edifici vuoti come teschi, muri superstiti con loggie che guardano il nulla, o scalee, atrii sontuosi in granito ed in marmo che portano a palazzi che non sono più: tutto ciò che era legno è stato divorato dalla steppa. Ogni balaustro, ogni cimasa è coronata di code pendule o di faccie sogghignanti di quadrumani. E le ruine si prolungano all’infinito, tutta la steppa, fin dove l’occhio può giungere, e oltre, oltre ancora, è l’immenso ossario di una città morta e risorta dieci