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l'impero dei gran mogol 159

sontuosi dove un vecchio scarno, occhialuto sotto il turbante immenso, sta ginocchioni in mezzo alla stanza, picchiandosi il petto contrito, una scuola indigena dove venti monelli, in assenza del pedagogo, si protendono al nostro passaggio con occhi vivaci e denti abbaglianti, scagliandoci le fiche e le ingiurie; e, molte cortigiane, bajadere di bassa casta, riconoscibili al volto ignudo, alle vesti e ai monili, alla casa più adorna e più appariscente: strane case così aperte sulla via dall’immensa veranda da inquetare seriamente la pudicizia dei visitatori. L’elefante, che ha incontrato un confratello che giungeva in senso opposto, s’arresta per attendere che l’altro retroceda fino al prossimo cortile, e sostiamo di fronte, vicinissimi, a due cortigiane sorridenti. L’una ravvia con uno strano pettine quadro ed enorme i lunghi capelli nerissimi e lisci come due bende di raso tenebroso, l’altra protesa quasi fuori della veranda, in piena luce, tiene nella mano uno specchietto tingendosi con la destra, accuratamente, i sopraccigli arcuati. Tutti, in questo paese, uomini, donne, bambini, hanno occhi splendidi, già