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146 i tesori di golconda

Golconda; le mura ciclopiche e sinuose vanno da macigno a macigno, ancora formidabili, ancora intatte, ma vane ormai, poichè più nulla hanno da custodire, e nella vastissima cerchia tutto è rottame, pietra, polvere, morte. Alla morte è destinato il paradiso minuscolo che s’innalza alla sommità della fortezza. La riverenza indiana per le cose funebri mantiene miracolosamente verdeggiante questo cimitero dove sono le tombe di tutta la dinastia di Golconda, dal sultano Ibraim al sultano Abdul Asan, dalla bella indiana Bhima-Mati alla bella mussulmana Chanah-Shah, strane tombe cufiche dipinte in azzurro, a caratteri bianchi, ornate ognuna d’un porticato ad ogive e di quattro minareti minuscoli dalle cupole d’oro; intorno è una vegetazione cimiteriale: mirti, cipressi, palme nane, con certe aiuole di fiori malaticci, tenuti in vita dall’acqua che i devoti portano a secchia a secchia, dai pozzi lontani, come per gli incendi. Non è descrivibile l’infinita tristezza di questo cimitero esotico, campo della morte nella città della morte....

Ma ancora qui la mia malinconia è ral-