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i tesori di golconda 143

letto del fiume; nel mezzo, in qualche pozza d’acqua superstite, una schiera d’elefanti lavoratori tenta invano il bagno quotidiano; i poveri pachidermi aspirano l’acqua con la proboscide e se ne irrorano i fianchi emersi. Giungiamo sulla riva opposta, ai piedi delle mura ciclopiche. Il genio guerresco ha trovata qui la collaborazione della natura, nè si può distinguere dove l’opera di questa finisca e cominci lo sforzo dell’uomo. L’uomo ha utilizzato macigni di cinquanta metri, rivestendoli di ammattonato, gettando dall’uno all’altro vòlte e terrapieni, unendoli con grate grosse come un braccio umano, armate di uncini difensori. Veramente Golconda doveva nascondere tesori favolosi se i Sultani pensarono a cingerla d’una difesa tanto formidabile. Si sale lungo la fortezza principale, un macigno multiplo che domina tutta la città morta ed è costrutto a gradi decrescenti, coronati alla sommità da un ciuffo d’alberi verdi che meravigliano in tanta desolazione e ricordano lo schema della commedia dantesca. Intorno sono macchine guerresche; cannoni arcaici, i quali attestano che la morte della città