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Haiderabat, 14 gennaio.
In due giorni di corsa vertiginosa la Central India Railway mi ha portato dalla costa verdeggiante alle terre riarse, dall’India Indù all’India Maomettana. Tutto è mutato. Non più la freschezza dei palmizii e delle felci arboree, ma i cacti spettrali, le agavi dall’immenso fiore centenario, le euforbie a candelabro che sembrano reggere sui fusti altissimi e smilzi la vòlta sanguigna del cielo. Non si vedono più le bellezze di bronzo dal seno e dal volto ignudo, ma le donne maomettane rigidamente velate; non capigliature profetiche di asceti bramini e buddisti, ma turbanti di seta gialla, gridellina, celeste, barbe imbiondite all’henné, grandi brache e grandi scimitarre gemmate; non è più l’architettura leggiera dei bungalows anglo-indiani o la linea acuta delle pagode, ma le moschee e i minareti, i cubi candidi