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la danza d’una “devadasis„ |
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palizzata: si entra in un giardino preceduti da due servi che illuminano i viali con un gran fanale — un fanale ad acetilene! — ; appaiono le foglie strane, a cuore, a lancia, a colori vivaci, la vegetazione di zinco, di latta dipinta, di velluto e di carne malefica, l’intreccio delle radici e dei rami serpentini; un giardino indiano il quale non si distingue dalla jungla che per le piante moderate dalle cesoie e per i viali sparsi di ghiaia a vari colori, disposta a disegni geometrici che i giardinieri pazienti rinnovano ogni giorno. In fondo la casa, che non si direbbe in verità la dimora d’un indu molte volte milionario; un edificio basso, imbiancato a calce, a verande spioventi, a colonnati in legno, un’architettura che ricorderebbe una nostra stazione di provincia se non le facessero cornice i flabelli verdi delle palme-palmira, gli zampilli vegetali dei cocchi. Siamo ricevuti nell’atrio, abbeverati con nostra gran meraviglia di champagne e whisky and soda che il padrone di casa ha fatto venire, con delicata ironia, dalla città lontana per dissetare gli impuri con le loro impure bevande: il padrone di casa che non ac-