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106 la danza d’una “devadasis„

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Non ridere e non sorridere — non rifiutare la ghirlanda di gelsomini al collo e la essenza di rose alle mani — non tendere la mano al padrone di casa — non lodare al padrone di casa la bellezza della figlia e della consorte, ecc., ecc. Il dottor Faraglia ci espone tutto un decalogo contro ogni possibile sconvenienza, mentre si viaggia nella notte illune su carrozzelle indigene trascinate da zebù, i minuscoli, agilissimi buoi indiani, dalle pelle tatuata, dalle corna lunghe e ricurve, dipinte in oro. Siamo una quindicina d’europei. Si viaggia verso Calam, nei sobborghi di Madras, sotto la vòlta dei cocchi eccelsi che disegnano sul cielo nero il profilo più nero delle foglie frangiate; in alto, in basso, uno spolverìo, un tremolìo di stelle e di lucciole, un profumo acuto di fiori ignoti, un sentore di terra non nostra, abbeverata dall’uragano recente. È nell’aria di questa notte invernale l’afa pesante delle nostre più calde notti d’agosto. Una