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la danza d’una “devadasis„ 105

di origine dei greci e degli indiani, la parentela che unisce la teogonia bramina alla teogonia ellenica. Ora Ramba-Devi, col suo Eros dal volto fosco, armato non di strali, ma di serpenti cobra, è la Venere del paradiso di Indra, la sorella certa della Venere greca che sopravvive nella terra di Brama mentre l’altra si è dileguata per sempre dinanzi all’avvento della nemica: la Vergine Madre.

Noi, devoti della Madre di Dio, affermazione dello spirito, negazione della carne, non possiamo comprendere un culto erotico; tutta la nostra intima essenza foggiata secondo una morale due volte millenaria, sussulta, si rivolta, vedendo ricomparire dalla notte dei tempi la sorella dell’antica avversaria.

Per questo non possiamo comprendere una Devadasis, nè definirla. Bisognerebbe aggiungere all’attrice somma, alla mima insuperabile, all’erudita, alla cultrice di poesia, la figura della sacerdotessa invasata, della menade folle.

Ma arrossiamo di pudore o sorridiamo di malizia.