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72 l'altare del passato

come si lavora la zanna dell’elefante; la roccia viva è tutta traforata a gallerie, a verande, a scalee, santuari immensi s’aprono nell’interno, dedicati ai tremila Dei delle mitologie brahamiane, fuochi sacri ardono di continuo da tempo immemorabile; e tutto è rivestito, placcato d’oro vero, poiché da tutta l’India accorrono i fedeli, offrono a piene mani gioielli e monete.

Si sale per le scalee quasi a picco, sculpite a zig-zag nella parete verticale; sotto di noi è l’infinito piano verde, non limitato che dal cerchio cerulo dell’orizzonte, rotto qua e là da altre cuspidi, da altre cupole di templi minori. Intorno è un turbinìo di corvi e di avvoltoi sacri, uno stridìo assordante e ostile. Viene dall’interno, da ogni santuario, un salmodiare selvaggio, un tam-tam rauco, una musica che a volte si fa spaventosa come cento ruggiti, a volte si spegne ronzando come l’agonia d’una libellula.

— I miei bagagli! I miei bagagli!

Si sale sempre. Attraversiamo altre verande, altri corridoi. Brahamini superbi di forme, non vestiti che d’una zona alle reni, ma più nobili, più imponenti di gentiluomini in isparato, c’incontrano, ci seguono con lo sguardo assente e tutti hanno sulla fronte, disegnato in rosso, il tridente di Vichnou, lo stesso simbolo che