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68 | l'altare del passato |
simi bagagli perduti in quell’intreccio di linee telegrafiche che chiude come in una rete tutta la penisola: una penisola vasta trenta volte l’Italia.
— Maledetta l’ora che ho deciso di ritornare in patria attraversando in ferrovia tutto l’Industan! A quest’ora navigherei nella calma cerula dell’Oceano Indiano, resupino su una sedia a sdraio, la sigaretta in bocca, l’ultima bricconata di Weber tra le mani, in attesa della campana di colazione; e le mie casse dormirebbero ben custodite nella stiva profonda. Maledizione!
Il mio compagno di viaggio, un francese, un agente consolare incontrato a Madura, non osava più consolarmi con lo scherzo, ripeteva macchinalmente:
— C’est rigolo, c’est rigolo....
Ma ecco giungere di corsa il boy mandato al Post-Office per i telegrammi; ci portava la posta: lettere e giornali rimbalzati da venti stazioni: notizie non liete dall’Italia: una lettera di mia madre angustiata dai soprusi di un vecchio prozio, un prete genovese, cancro e tiranno della nostra famiglia da tempo immemorabile; tre numeri d’una massima rassegna letteraria italiana. Apro, leggo il nome più velenoso ch’io mi conosca: Tito Vinadio, sotto venti pagine che riguardano un mio ultimo libro scritto con