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late dal verde, le ogive sottili della Villa Candiani.

La figura della giovane vedova gli balenò nel ricordo, quale l’aveva vista l’ultima volta, otto anni prima: tutta vestita di rosso secondo la moda di quel momento, e a rivendicazione delle gramaglie smesse da poco, tutta vestita di rosso, a contrasto magnifico dell’immensa chioma nera e lustra, degli occhi nerissimi, oblunghi nel volto sempre gaio, dal sorriso aperto di continuo sui denti splendidi.

Si chiamava Costanza: poteva chiamarsi Gaiezza.

Claudio ne riudiva la voce, il riso trillante, tutto suo, la rivedeva appoggiata al tronco d’un palmizio, attirandosi vicina la figlia, una bimbetta pensosa, quasi a farsene scudo, nella coorte dei troppi ammiratori.

Ma non era, per Claudio, un ricordo galante: non era nemmeno un ricordo sentimentale. Claudio era un ragazzo poco più che ventenne, e veniva tra gli ultimi degli assidui a Villa Candiani, accolto tuttavia dalla Signora con una gaia benevolenza, perchè sapeva suonare e danzare e animare una serata, una recita, una gita con giovanile disinvoltura. Costanza Candiani civettava con lui come con gli altri; era un’anima volubile, tormentata dalla noia, e per que-