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54 | l'altare del passato |
che nessuno conosce e che m’appartengono come doni fatti da lei sola a me solo.
E penso all’uomo dalla porticina, alla figura romantica di giovine biondo-cerulo. E penso con un brivido d’infinita pietà che quell’uomo vive.
Vive, il centenario! Si muove il povero scheletro, la povera maschera ridotta ad un teschio tra le fedine d’argento, con incastonate nelle orbite cave due turchesi stinte!
E se io potessi varcare la soglia di una reggia, salire i gradini di un trono, sillabare a quella reliquia umana, a voce alta, più volte: — Palmira! Palmira Zacchi! — vedrei forse la calvizie di vecchio avorio sollevarsi e le iridi pallide animarsi per un attimo, debolmente, d’un riflesso remotissimo: il riflesso della giovinezza, l’unica cosa che valga, la bellezza sola, spenta la quale nulla c’è di buono per l’anima in attesa del sonno senza risveglio.