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48 | l'altare del passato |
Quella sera fui messo a letto prima dell’ora, in gran fretta.
Non parlai, non protestai. Capivo vagamente che qualche cosa di grave stava per accadere nella notte. La notte era fatta più tragica da un violento uragano estivo. Solo, raggomitolato nel lettuccio, vedevo il buio illuminarsi a tratti al riverbero dei lampi. Sentivo lo scroscio della pioggia furibonda contro i vetri e il rombo strepitoso del tuono e la casa scossa alle fondamenta.
Tremavo, avevo la ferma certezza che nella notte sarebbe giunto l’uomo della porticina, l’uomo effigiato sui francobolli sconosciuti. Poi tutto si fece queto: m’addormentai; udii più tardi, in sogno, la sonagliera e lo scalpitìo dei cavalli. Poi silenzio profondo. Quando mi svegliai era notte alta; attraverso le sale aperte, attraverso lo scalone sonoro, giungeva chiara, sillabata la voce della Baronessa, alternata con un’altra voce rauca, con una terza voce stridula.
Balzai a sedere sul letto, col respiro mozzo dallo spavento e da una curiosità più forte dello spavento. Attraversai tre stanze, in camiciola, a piedi nudi, scesi il primo ramo dello scalone; i denti mi battevano pel freddo del marmo e per la voluttà del rischio; giunto al