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I sandali della Diva 45

aveva dovuto camminare fino all’alba per una landa selvaggia, la storia d’un incendio in un teatro di Nizza, dove tutti erano morti e la mia amica si era salvata gettandosi dai tetti in un lungo tubo di tela miracolosa, tutta una serie di episodi che sentivo il bisogno di farmi ripetere fino alla sazietà. E la ballerina raccontava, raccontava infaticabile, spogliandosi. Poi, quando Ortensia ultimava la sua trasformazione notturna, si volgeva verso di me per assicurarsi che non la guardassi. Ed io la guardavo quasi sempre:

— Adesso volgiti, caro, che l’angiolino piange.

Io mi volgevo. Ma qualche volta no e l’angiolino piangeva: non tanto, credo, sul mio candore offuscato, quanto sulla caducità irrimediabile d’ogni terrena opulenza.

— A Vienna ho una villa dieci volte più bella di questa, con un giardino che non finisce più e un’uccelliera grande come una casa e un fiume che passa in fondo al giardino e che si chiama il Danubio. Si ride si va in barca tutto il giorno.... Ma i cattivi....

— Ma i cattivi, — incalzavo io, lasciando di mangiare per la curiosità.