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I sandali della Diva 41

roette vertiginose con tutta la forza e l’agilità della sua arte provetta: ed io non vedevo più nulla, soffocato di gioia e di spavento.

Un episodio improvviso venne a ribadire la nostra intimità. Una mia sorella s’ammalò di non so che febbre contagiosa, rosolìa o morbillo. Fu necessario esiliarmi di casa subito. La Baronessa era presente nell’ora d’angoscia, in giardino, mentre il dottore consigliava ai miei parenti la mia partenza immediata. Subito ella profferse d’ospitarmi. I miei rifiutarono. Ma quella insisteva con buone ragioni: la sua villa era isolata, garantita da ogni contatto e vicinissima ad un tempo: mia madre avrebbe potuto vedermi ad ogni ora. Accettassero! Non era un favore: era un favore che facevano a lei, sola con la servitù e col suo dolore, nella grande casa squallida. Tanto supplicò che ottenne il consenso e mi portò via tutta lieta, correndo giovenilmente, col suo passo di danza.

Altre cose ho visto nella vita: e terre lontane e grandi capitali e uomini strani e ho passate ore di gioia e d’angoscia. Ma nessuna equivale l’emozione di quei quindici giorni d’ospitalità a villa Palmira.