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28 | l'altare del passato |
un’irruenza maschile e ribelle che non s’è modificata mai.... Lei, loro della nuova generazione non possono immaginare che cosa fosse un’anima ardente che si schiudeva alla vita in quei giorni, tra il ’60 e il ’70; un’anima chiusa, guardata a vista tra queste pareti, mentre fuori, d’intorno, rombava come un vento di vittoria il nome dell’Italia che si compiva e il sogno fatto realtà balenava di figure d’eroi d’una bellezza e d’una grandiosità delle quali oggi s’è perduta financo la specie; eroi da far dar di volta a tutti i cuori diciottenni d’Italia. E io avevo diciott’anni, caro signore, e forzavo la clausura di questa casa con tutta la merce più invisa; Aleardi e Fusinato, Mazzini e fogli rivoluzionari: leggevo, capivo e sognavo. Sopratutto sognavo; e come ogni fanciulla d’allora, deliravo per Garibaldi. Non l’avevo mai visto, non l’avrei visto mai; forse per questo l’adoravo di più. Conoscevo tutto di lui, attraverso libri e giornali, possedevo una raccolta segreta di fotografie dove potevo sognarlo in ogni sua gesta: l’incontro con Anita, Garibaldi Duce della Legione di Montevideo, Garibaldi agricoltore a Caprera, Garibaldi che medita la spedizione dei Mille, Garibaldi ferito dopo i giorni d’Aspromonte.
Il nome dell’eroe era bestemmia in questa