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ne fu progettato l’abbattimento totale; si voleva liberare Piazza Castello della mole ingombrante; e sia lode a Napoleone I (benefattore dell’arte questa volta come poche volte fu mai) che intervenne scongiurando con un veto formale l’inaudita barbarie.

Noi torinesi siamo anche avvezzi a considerare il Palazzo Madama come un piacevole luogo di convegno solitario, ben difeso dalla pioggia, dal sole, dalla curiosità. Sotto la mole vasta, passeggiando dall’androne medioevale al porticato settecentesco si può attendere una signora — mamma, sorella, amica, amante — e la mezz’ora di ritardo che ogni donna si crede serenamente in diritto di prelevare sulla pazienza maschile, è meno grave che altrove. In una mezz’ora d’attesa nel rifugio semibuio ci si può inebriare della poesia di due millenni, dimenticare come in un’oasi risparmiata dal tempo, la vita moderna che pulsa intorno, dimenticare la folla varia e modernissima, le rotaie corruscanti, il balenìo delle lampade elettriche, il rombo delle automobili, dei tram, della civiltà che passa ed incalza.

Due millenni: tutta la vita di Torino. Si può risalire, nella notte dei tempi quando la storia non ha più date e non ha più nomi e il nostro sogno prende non so che tinta crepuscolare li-