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La Marchesa di Cavour 181

diporto fino a Chambéry, impone di credere un nuovo avviso di Corte. Il popolo esulta, ma anche in questo è risaputa ben presto tutta la verità. Uno squadrone, dopo la fuga notturna della Duchessa, s’è precipitato, per ordine del Duca, sulle tracce della fuggitiva, ha costretto con le armi spianate la berlina reale a far ritorno a Torino. E la Duchessa ritorna pallida, disfatta, rientra in Torino sorridendo debolmente alla folla plaudente.

— Se non fosse di suo figlio — commenta qualche madre tra la folla, — scommetto che si sarebbe piuttosto lasciata ammazzare che far ritorno.... Povera donna!

Verità storiche, registrate dagli archivi polverosi, ma noi non cercheremo la conferma nel tedio delle antiche carte. Tutto l’episodio commovente è chiuso in una canzone popolare fiorita in quei giorni, canzone che non si canta più, ma che è certo tra le più belle e più significative del folklore subalpino, riportata e tradotta dal Nigra nella sua raccolta di canzoni piemontesi.


LA MARCHESA DI CAVOUR.

Sua Altessa l’è muntà an carossa,
An carossa l’è bin muntè
Che a la Venaria a vol andè.