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Torino d'altri tempi | 155 |
Paggi, la sala del Trono, la sala delle Udienze, la sala del Gran Consiglio. Dame e cavalieri — i più bei nomi della nobiltà Subalpina — quelli che oggi sopravvivono soltanto nelle tele delle pareti vengono, vanno, ridono, parlano, con le loro labbra di carne....
Ma la bela madamin?... dov’è? dov’è il delicato fantasma delle mie allucinazioni? attraverso la lunga Galleria Dal Danieli passo sotto i cieli favolosi del pittore secentesco, fra lo scintillìo cristallino degli immensi lampadari avanzo, apro una porta socchiusa. Odo una voce. La bela madamin. No. Non è lei. Allibisco.
In mezzo alla sala appoggiato al tavolo di lavoro con le braccia conserte sta S. M. il Re Vittorio Amedeo III, già vestito di gala, terribilmente rassomigliante al ritratto del Dogliotti, all’incisioni del Rinaudi, il profilo diritto non raddolcito dalla parrucca bianca, il collare dell’Annunziata, i nastri, le croci, le medaglie disposte in bell’ordine sulla corazza troppo corruscante di pacifico guerriero settecentesco, la porpora crociata di bianco del mantello Cesareo avvolta con una linea romana illanguidita un poco dalle grazie di Watteau. Sua Maestà rilegge una lettera; la carta pergamenata gli garrisce tra i pollici nervosi scossi dal tremito. E non ascolta il Conte Lamarmora che gli legge