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parrucche plebee, nere o castane, parrucche di patrizi argentee, calamistrate, guizzare di polpacci muscolosi o smilzi nelle calze di cotone o di seta, di Gianduia o del marchese, berline e portantine dove traspare il rosso del belletto, il nero artificioso dei nèi, una bocca che ride, una mano che agita un ventaglio, che accarezza un cagnolino cinese.

Interrogo un soldato: non mi risponde; un contadino: nemmeno si volge; un abate: non mi guarda, non batte ciglio. E allora m’accorgo d’una cosa inaudita e terribile: sono ombre (o l’ombra sono io?) divise da me dal mistero del non essere più, del non essere ancora. Vedo e non sono veduto, sento e non sono sentito.... Intorno si parla francese o un piemontese arcaico molto serrato nella erre infranciosato o l’italiano pesante dei libri stampati; così dinanzi a me un tal conte Dellala di Beinasco e un tal cavaliere Mattè macchinista deplorano “.... la fatal pioggia importuna che ieri sera nocque al fontionamento della macchina dei fuochi artefitiali di gioia, a cascatelle e figure molto vaghe e dilettevoli, onde l’ornatissima madama giovinetta volle trarre nefasto presagio....„

E poco oltre all’angolo di via San Francesco da Paola uno scrivano pubblico legge ad alta voce un affisso del muro ad un gruppo di anal-