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142 | l'altare del passato |
nella grande cucina, ridono di me che ho preso le mani della granda e seduto ai suoi piedi sopra uno sgabello basso le ripeto per la decima volta la mia profferta supplichevole:
— Aggiungo dieci, lire.... ne aggiungo quindici.
La vecchia non ha capito. La nipote s’avvicina, le sillaba forte all’orecchio: “aggiunge quindici lire„; la vecchia esita. Poi s’alza, si volge alle donne con un sorriso ed un sospiro, accennando al pendolo e a me:
— Ah, che balengo!
Esulto. Ho sentito in quella contumelia il consenso.
La vecchia incarta in una pagina del nipotino il robert minuscolo, una delizia di bronzo e di smalto, dalla panciuta grazia settecentesca, sfuggito non so come alle razzìe degli antiquari. E la mia gioia è tale che quasi non sento che la vecchia canta certo per consolarsi del distacco da quella cara cosa familiare, canta con una voce così giovane ed armoniosa che sembra non appartenerle, sembra giungere da un’altra stanza:
Ma come? Si canta dunque ancora sui nostri colli torinesi La bela madamin, la canzone