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138 l'altare del passato


Il dottore incrudeliva:

— Non è vecchia, ma non è nubiana: è spagnuola; anzi, è un’inglese sposata ad uno spagnuolo e ritinta al cioccolato, come una comparsa dell’Aida. Un fiore di delinquente; ma è stata una signora autentica: ho conosciuto ad Alessandria il marito che per poco esala l’anima per una pozione arsenicale; la consorte ha fatto cinque anni di carcere. Poi è capitata a Port-Said, cadendovi come in un pantano. L’ho rivista l’anno scorso all’Ospedale delle Missioni, per la rasoiata d’un facchino arabo: le è rimasto il naso camuso, il che le dà maggior colore locale, ma ha perduto l’ultimo vestigio di giovinezza, l’unica merce che valga. Da un anno è qui, travestita in quel modo, e suona la guarizza: ha una certa abilità: per questo la sfamano....

Io non ascoltavo il dottore. Fissavo quel volto spaventoso sotto l’arco ricurvo dello stromento egizio, che le protendeva sul capo, a maggior contrasto, una sfinge d’oro. Le mani salivano, scendevano lungo le corde come due ali nere, come cose non sue. E il volto era chino in avanti, fra i ginocchi socchiusi. Un volto non descrivibile, deforme, con non so che di mancante all’altezza degli occhi, come se riflesso in uno specchio rotto; la mascella