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DE GUSTIBUS NON EST DISPUTANDUM 95


SCENA IX.

Celindo, poi Don Ramerino.

Celindo. Qual da fulmine colto

Pastor ch’esser non sa morto o ferito,
Gli accenti del mio ben m’hanno stordito.
Ma d’Artimisia il labbro
Quai detti pronunciò? Mi ama ella dunque?
Ella aspira al mio loco, e la nipote
Non ha rossor di rendere infelice?
E sugli occhi di lei lo svela e dice?
Ramerino. Amico, non conviene
L’ore all’ozio donar. Di chi ci onora,
Le finezze gradir si mostra poco.
Celindo. Che volete da me?
Ramerino.   V’invito al gioco.
Celindo. Deh, lasciatemi in pace.
Ramerino.   Io non pretendo
Insidiarvi la borsa. Una partita
Sol, per divertimento,
Fino all’ora di pranzo.
Celindo.   (Oh che tormento!) (da sè
Ramerino. Scegliete il gioco voi.
Celindo.   Ma se vi dico...
Ramerino. Del tresette scoperto io sono amico.
Vi darò quattro punti...
Celindo.   Ora non posso.
Ramerino. Che vi turba, Celindo? Ah, convien dire.
Se ricusate il bel piacer del gioco,
Che vi opprima il cordoglio, e non sia poco.
Celindo. Sì, l’affanno mi opprime. Erminia, oh Dio!
Dubita che di fede
A mancarle cominci, e non mi crede.