Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1930, XXIX.djvu/487


NOTA STORICA

Per la nuova stagione musicale nel teatro di S. Samuele, dalla metà di novembre (1755) alla fine del carnovale (1756), esclusa la novena natalizia, il Goldoni preparò tre libretti: la Diavolessa, la Cascina e la Ritornata di Londra, che furono musicati da tre maestri diversi.

Come soleva, buttò giù il primo molto in fretta, per il Galuppi. Personaggio principale è don Poppone, uno fra i tanti fanatici del teatro goldoniano, il quale si illude di poter scoprire un tesoro nella sua cantina, e si lascia gabbare e bastonare da due finti indovini, Dorina e Giannino. Torna a mente il tesoro immaginario cercato con le note arti magiche a Cesena dai giovine Casanova (Mémoires, t. II, cap. 6, ed. Garnier): episodio che ha tutta l’aria d’un’invenzione a mo’ di novella, come la storia precedente del braccio del morto. Un inganno simile, anzi una truffa, col pretesto d’attirare il tesoro nascosto racconta, come si sa, il Gozzi nella Gazzetta Veneta (n. XXXIII, 28 maggio 1760. — Nulla ha che fare, tolto il titolo, le Trésor cachè di Destouches, 1745, ch’è il Trinummus di Plauto ringiovanito). Non conosco le Trésor supposé di Gueulette (1720), nè il Tesoro, commedia in versi di Luigi Groto (1585), nè quello in prosa di Fabio Ametrano (1640), nè lo scenario del Locatelli col medesimo titolo.

La scena della cantina, sulla fine del secondo atto della Diavolessa, in cui Falco evoca gli spiriti infernali, non senza gran paura di don Poppone, e fa comparire Giannino e Dorina travestiti da diavoli, ci ricorda in parte quella che chiude il secondo atto nel Conte Caramella (vol. XXVIII). Troppo tardi m’accorsi, per giovarmene a suo luogo, che il Goldoni ricavò quel libretto dal tamburino (The Drummer, 1715) di Giuseppe Addison, non direttamente, bensì dalla libera traduzione di Néricault Destouches (Le Tambour nocturne ou le Mari devin" comédie angloise accommodée au théâtre françois’’, st. 1736), anzi da una "parafrasi” di questa, in versi sciolti, che uscì anonina a Firenze nel ’50 (il Tamburo) e che a Roma fu proibita (ne parlarono con lode le Novelle della Rep.a Lett. per l’a. 1750, Venezia, n. 26 e la Storia lett. d’Italia del p. Zaccaria, vol. XI, Modena, 1757, p. 27). Credo ne fosse autore il cavaliere senator Giulio Rucellai che il Goldoni conobbe a Firenze nel 1744 e rivide nel 1753, a cui dedicò la Locandiera (v. vol. IX): il quale nel ’48 aveva stampato a Bologna un’altra commedia, il Misantropo a caso maritato, pure in endecasillabi sciolti (Toldo L’oeuvre de Molière ecc., Turin, 1910 e De Carli, L’influence du Théâtre français à Bologne, Torino, 1925). Una traduzione non indegna del Tamburo francese fece poi la duchessa Vittoria Ottoboni Serbelloni nel tomo III del Teatro Comico del Sig. Destouches (Milano, Agnelli, 1755). In Francia il signor Descazeaux Des Granges rifece in versi il Tamburino di Addison e