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portando seco soltanto una commedia nuova per la compagnia di S. Luca (v. l’Introduz. per la prima recita ecc. nel vol. XI, pp. 211-212). Di qui la sdegnosa giustificazione preposta allo Speziale contro la gente “oziosa e maligna” che lo accusava ai aver trascurato il teatro a cui il dovere lo legava, “per lucrare” con i teatri “di musica”.
Numerosissime erano a Venezia le farmacie: oltre cento nel secolo XVII e più di novanta ai tempi del Goldoni (G. Dian, Cenni storici sulla Farmacia Veneta ecc. P. 5.a, Venezia, 1905, pp. 26-27). In quella ben nota dell’Aquila Nera, in campo S. Salvador, frequentavano, con molti altri, il N. U. Marcantonio Zorzi, poeta vernacolo, il p. Lodoli, bizzarro architetto, il tipografo Pasquali, il Goldoni stesso e due fra i suoi più cari e fidi amici, l’incisore Zanetti e l’abate Sciùgliaga (vedi B. Brandii, Una farmacia veneziana del 1700, in Marzocco dal 12 luglio ai 27 settembre 1925; e Una farmacia goldoniana, in Gazzetta di Venezia, 20 sett. 1925). N’era proprietario certo Francesco Rigoni, buon uomo, che abbandonava la cura di tutto a uno scaltro suo agente. Non crediamo però che fosse proprio questo il modello dello speziale Agapito. Troppi altri dovette conoscerne il Goldoni fin dalla prima età; e forse esiste ancora in qualche farmacia di campagna più di un discendente, fanatico per i fogli quotidiani. Del resto non erano nuovi gli speziali nel teatro italiano: basta pensare al Candelaio del Brano. Credo che il dottor veneziano non conoscesse Lo Speziale in villa, dramma per musica di Gio. Cosimo Villifranchi (di Volterra, 1646-1698), ridotto in prosa col titolo di Cartoccio speziale (M. Bencini, Il vero G. B. Fagiuoli, Frat.i Bocca, 1684, p. 148 e Isodoro Carini, L’Arcadia ecc., Roma, 1891, p. 489), ma dovette leggere da fanciullo a Venezia la commedia del Pantalon spetier di Gio. Bonicelli (Bonvicin Gioanelli) stampata in principio del Settecento (Mazzucchelli, Scrittori d’Italia, vol. III, p. 3. e Cicogna, Inscrizioni Venez., voi. Ili, p. 250) in cui l’azione si svolge con qualche vivacità nell’interno d’una spetiaria (E. Re, La commedia venez. e il Gold., in Giorn. St., vol. LVIII, 1911, fasc. 3, p. 375) e quello dell’Ammalato immaginario (1701) che lo stesso autore e dottore”in ambe le leggi” ricavò da Molière, facendo parlare in veneziano lo speziale Acquacotta (Toldo, L9 oeuvre de Molière, Turin, 1910, pp. 268-269; v. anche l’Ammalato immaginario ecc. del libraio Cristoforo Boncio: ivi, 266-267).
Molière fu invero la fonte letteraria del Goldoni, quando scrisse la Finta ammalata, ma Agapito riuscì una creazione del tutto originale, come osservò molto bene il Maddalena (voi. V, p. 490), e Agapito forma ancora oggi, più del buon Pantalone, la nota caratteristica e geniale di quella esilarante commedia-farsa. Costretto a passare nell’opera in musica, col nome di Sempronio, non potè conservare la sordità, perdette in parte il sapore comico, si confuse nella monotona schiera dei tutori che per amor del denaro vogliono sposare la giovane pupilla e si trovano alla fine delusi e derisi (v. le note delle due Pupille: della commedia, vol. XIV, e dell’Intermezzo, vol. XXVI). Pure la sua mania per le gazzette ci fa sorridere ancora, specialmente nell’ultima scena del primo atto, quando vuol dividere la terra e il mare fra i regnanti in guerra. Ma la buaggine di Sempronio nell’ultimo atto sorpassa i limiti della caricatura; e Lucindo sembra ripetere lo scherzo di E colitico