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Anche questa volta lo Schatz scoperse la derivazione dei Matti per amore da Amor vuol sofferenza di Gennaro Antonio Federico (Sonneck, Catalogue, p. 744). Il dramma del notissimo autore della Serva padrona fu rappresentato nell’autunno del 1739 a Napoli, nel teatro Nuovo, con musica ai Leonardo Leo (Florimo, La scuola musicale di Napoli ecc., Napoli, 1881, vol. IV, pp. 114-115; v. un brevissimo cenno nell’Opera buffa Napol. di M. Schedilo, Collez. Settec. Sandron, 1916, p. 219) e a Firenze nel 1742 (v. libretto presso la Bibl. del Liceo Music, di Bologna) ma corse più fortunato sotto il titolo di Finta Frascatana (v. libretto c. s. per la recita a Bologna in data 27 genn. 1748, come ricorda pure il Diario del Galeati: da non confondere con la Frascatana del Paisiello, 1776) o anche popolarmente con quello di Cioè, dal personaggio principale, certo Fazio Tonti lucchese, che “poco concrude e a ogni tre parole nce schiaffa no cioè” (v. Giac. Leo, Leonardo Leo musicista del s. XVIII, Napoli, 1905, cit. da A. Della Corte, L’Opera Comica It. nel ’700, Bari, 1923, vol. I, p. 79. - La partitura dell’opera trovasi nell’Archivio Music, di Montecassino: v. Ed. Dagnino, in Casinensia, Montecassino, 1929, p. 284).

Il libretto è ben povero di spirito e arruffato. Anche qui, come nell’antica commedia degl’Ingannati (1531) e come nella Donna di garbo del Goldoni e in cent’altre favole teatrali, una fanciulla tradita si fa serva in casa dell’amante infedele per riguadagnarne l’affetto. La nota comica è questa, che Eugenia, finta frascatana sotto il nome di Ninetta, ama il giovane romano Alessandro, ma costui è innamorato di Camilla, la quale poi ama il genovese Ridolfo, e questi a sua volta sospira per l’Eugenia, mentre lo sciocco Fazio arde d’amore per tutte, compresa l’ortolana Vastarella (detta Pimpinella nella Finta Frascatana), che, amata dal Mosca, vezzeggia con Fazio per sedurlo. Una ridda dunque di non corrisposti amori, non certo nuova nel nostro teatro, alla quale manca soltanto l’arte dell’autore per riuscire davvero buffa e piacevole, o anche amara. È strano che nessun poeta sia mai riuscito a dar vita a questa farsa della follia umana. La musica del Leo entusiasmò il De Brosses, giovane e intelligente viaggiatore, che seppe apprezzare la nostra opera comica ai suoi inizi, rappresentata dal Pergolesi, dal Leo e dal Latilla. “Nous avons eu quatre opéras à la fois” scrive da Napoli nella sua lettera del 18 nov. 1739”sur quatre théâtres différents. Après les avoir essayés successivement, j’en quittai bientôt trois pour ne plus manquer une seule représentation de la Frascatana, comédie en jargon, de Leo... Quelle invention! quelle harmonie! quelle excellente plaisanterie musicale! Je porterai cet opéra en France” (cito dall’ed. 1869, Paris, Libr. Académique, vol. I, p. 347, delle Lettres familières).

Nessuna meraviglia che il Cocchi fosse invogliato a musicare il medesimo libretto, che nella nuova veste s’intitolò più giustamente I matti per amore (e invero nella Finta Frascatana, ed. bolognese, Ridolfo compare nel II atto “in abito di pazzo”) da non confondere con i Finti pazzi per amore musicati da Rinaldo da Capua, dal Mortellari, dal Sacchini: v. vol. XXVI, pp. 375-376). I personaggi sono rimasti quelli stessi con gli stessi caratteri, solo cambiato qualche nome: la scena è trasportata dalla campagna napoletana in una villa del Bolognese, a Samoggia, che il Goldoni doveva conoscere.