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NOTA STORICA

Nella quaresima del 1754, mentre le compagnie comiche si preparavano a partire da Venezia per le solite recite nei teatri di terraferma, il Goldoni stava scrivendo con tutta la velocità possibile un nuovo libretto per il Galuppi (vedi l’avvertenza che precede la stampa dello Speziale), anche questo strappatogli probabilmente da qualche antico protettore a cui non poteva dire di no. Nella stagione comica finita allora, uno strepitoso trionfo aveva riportato a S. Luca la Sposa Persiana (vol. XXIV), ma infinite polemiche a furia di satire martelliane e di sonetti avevano diviso il buon pubblico veneziano in due ardenti fazioni, dei chiaristi e dei goldonisti. La lotta culminò durante le recite del Filosofo inglese del Goldoni (vol. X: v. Nota storica), seguito poco dopo dal Filosofo veneziano dell’abate Chiari. Per difendersi da alcune critiche il dottor Carlo dovette in soli cinque giorni, con audace sforzo, scrivere i cinque atti del Festino in versi martelliani (vol. XI). Le satire e le maldicenze lo amareggiavano da tempo, più che non volesse confessare. L’ingratitudine dei concittadini lo faceva pentire di essersi consacrato con tanto entusiasmo e con tanta fatica alla ristorazione del teatro italiano. Cominciava a sentirsi triste e stanco: lo riassalivano certe malinconie giovanili. A distrarlo capitò nel marzo di quell’anno il fratello del quale da molti anni non aveva più notizie, con due nipotini ai quali si affezionò subito come un padre.

Della malattia nervosa che doveva tormentarlo a Modena e a Milano, nulla traspare nel Filosofo di campagna, che riuscì uno dei suoi più felici drammi giocosi e superò in fatti ogni altro scritto fino allora, per l’immensa fortuna che incontrò in Italia e fuori. Questo era il terzo filosofo che saliva sui teatri veneziani nel 1754. Non dobbiamo stupire di ciò in pieno Settecento, in un secolo che si vantò filosofico per eccellenza, in cui il filosofismo trionfava in tutti i libri e nei salotti di moda. Gli stessi filosofi dell’antica Grecia erano trascinati per forza a fare le smorfie sul palcoscenico (nel ’55, a Venezia, il Socrate del Grisellini, nel ’56 i Filosofi pazzi del Chiari, ossia Eraclito e Democrito). Voltaire scriveva le Lettere filosofiche e il Dizionario filosofico. Prévost cominciò nel ’31 a raccontare le avventure del Filosofo inglese: poichè tutta questa filosofia veniva per gran parte d’Inghilterra: ivi si era formato sulla fine del Seicento il vero filosofo (v. le Lettres sur les Anglois et les François di Béat de Murait, ed. 1725). A Venezia si rinfantocciava lo Spettatore di Addison sotto le spoglie del Filosofo alla moda (1728-29). Invano il conte ab. Cataneo nel ’53 criticava l’invadente Filosofismo delle belle, chè l’anno stesso l’ab. Chiari iniziava coi tre volumi della Filosofessa italiana la serie infinita de’ suoi romanzi. Intanto nel teatro comico francese Saint-Jory (le Philosophe trompé par la nature, 1719; da uno scenario del Riccoboni), Saint-Foix (le Philosophe dupe de l’amour, 1726) e Destouches (le Philosophe marié, 1727 e les Philosophes amoureux, 1729) facevano innamorare cotesti severi filosofi (v. Nota storica del Filosofo di Goldoni, vol. XXVI); e Palissot aguzzava la satira contro la setta filosofica (les Originaux, 1756 e les Philosophes, 1760).