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IL FILOSOFO DI CAMPAGNA 161


SCENA VIII.

Salotto in casa di Don Tritemio, con varie porte.

Eugenia e Rinaldo.

Eugenia. Deh se mi amate, o caro,

Ite lontan da queste soglie. Oh Dio!
Temo che ci sorprenda il padre mio.
Rinaldo. Del vostro genitore
Il soverchio rigor vi vuole oppressa.
Deh, pensate a voi stessa.
Eugenia.   Ai Numi il giuro:
Non sarò d’altri se di voi non sono.
Ah, se il mio cuor vi dono,
Per or vi basti, e non vogliate, ingrato,
Render lo stato mio più sventurato.
Rinaldo. Gradisco il vostro cor, ma della mano
Il possesso mi cale...
Eugenia.   Oimè! Chi viene?
Rinaldo. Non temete; è Lesbina.
Eugenia.   Io vivo in pene.

SCENA IX.

Lesbina e detti.

Lesbina. V’è chi cerca di voi, signora mia. (ad Eugenia

Eugenia. Il genitore?
Lesbina.   Oibò. Sta il mio padrone
Col suo fattore, e contano denari,
Nè si spiccia sì presto in tali affari.
Rinaldo. Dunque chi è che la dimanda?
Lesbina.   Bravo!
Voi pur siete curioso?
Chi la cerca, signore, è il di lei sposo.