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IL FILOSOFO DI CAMPAGNA 157
  Oh che pane delicato,

  Se da noi fu coltivato!
  Presto, presto a lavorare,
  A podare1, a seminare,
  E dappoi 2 si mangerà;
  Del buon vin si beverà,
  Ed allegri si starà.
(partonoi Contadini, restandone uno impiegato
Vanga mia benedetta,
Mio diletto conforto e mio sostegno,
Tu sei lo scettro, e questi campi il regno.
Quivi regnò mio padre,
L’avolo, ed il bisavolo, e il tritavolo,
E fur sudditi lor la zucca, il cavolo.
Nelle città famose
Ogni generazion si cambia stato.
Se il padre ha accumulato
Con fatica, con arte e con periglio,
Distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
Qui dove non ci tiene 3
Il lusso, l’ambizion, la gola oppressi,
Sono 4 gli uomini ognor sempre gl’istessi.
Non cambierei, lo giuro,
Col piacer delle feste e dei teatri
Zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.

SCENA VI.

La Lena ed il suddetto.

Lena. (Eccolo qui; la vanga

È tutto il suo diletto). (da sè
Se foste un poveretto,
Compatirvi vorrei, ma siete ricco.

  1. Così nelle stampe di Bologna, Bergamo, Torino ecc. Nelle edd. Fenzo e nelle ristampe Guibert e Zatta: prodare.
  2. Ed. Fenzo: doppoi.
  3. Nelle edd. Guibert e Zatta manca questo verso e il senso non corre.
  4. Zatta: Fanno.