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128 ATTO TERZO
Di colei m’avvilì.

Erminia.   Che debil cuore!
Per pietà divenuto è traditore?
  Fra le virtù dell’alma
  Bella pietà si onora;
  Ma la pietade ancora
  Sempre non è virtù.
  Quando l’onesto eccede,
  Nemica è alla ragione,
  Quando al dover s’oppone.
  Non si conosce più. (parte

SCENA IV.

Celindo, poi Don Pacchione.

Celindo. Alfin si placherà, placato io sono.

Ogni onta le perdono... Ma qual onta?
Ella non m’ha sprezzato.
Artimisia l’ha detto, ed ha scherzato.
È ver che siamo in villa.
Che di tutto si può prendersi gioco,
Ma Artimisia, per dirla, eccede un poco.
Pacchione. Amico, allegramente.
Celindo.   Allegri se si può.
Pacchione. Allegri, che stassera io mangerò.
Celindo. D’esser avvelenato
Non avete paura?
Pacchione. No, Artimisia mel dice, e m’assicura.
Celindo. Ed io credo che mai
Vi sia stato per voi cotal periglio.
Scherza Artimisia, e noi pone in scompiglio.
Pacchione. Sia com’esser si voglia,
Stassera mangerò; questo mi basta.